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OLTRE LA COMPETIZIONE: IL CERVELLO SOCIALE
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Il passo può non risultare chiarissimo. Marx sta parlando dello sviluppo del capitale fisso, dei macchinari, e della loro importanza crescente nel modo di produzione capitalista. Il concetto, invece, è molto più ampio. Tutto si riduce ad avere (o non avere) una visione sociale, comunista, della storia della specie umana. La rapida automazione della produzione obbliga Marx a sottolineare come il lato sociale, collettivo, della conoscenza umana sia sempre più evidente; ciò non vuol dire che (prima dello sviluppo della tecnologia industriale, prima dell'avvento della grande industria) tutto ciò non ci fosse già. Il cervello della specie è sempre stato…"sociale". E' da quando qualcuno inventò, anzi, noi inventammo, la ruota che l'umanità fa "proprie", nel senso di "socializza", le conoscenze di alcuni, le scoperte di pochi. I freni alla socializzazione delle conoscenze, come delle arti, sono dovuti semplicemente alla divisione in classi. La domestica di Newton ha scoperto il rapporto tra forza massa e accelerazione tanto quanto Newton stesso: senza di essa il solo individuo, preso a raccogliere le mele per mangiare, anziché permettersi di farsene cascare una in testa, non avrebbe scoperto proprio niente. A tutto ciò si aggiunge il contesto culturale: se Mozart fosse nato tra gli aborigeni, probabilmente non avrebbe composto il Flauto Magico. Il cervello è sociale perché gli esseri umani non sono tutti eremiti ma costituiscono, per l'appunto, una specie: il cervello o è sociale o non è. La divisione in classi, da che mondo è mondo, ha sempre creato barriere alla naturale socializzazione delle scoperte: mentre le prime (ruota, fuoco ecc…) venivano naturalmente socializzate, senza ricorrere ad un tribunale per stabilire se il copyright della ruota era della Apple o della Samsung, con la divisione in classi la conoscenza diventò fruibile da pochi e si è velocemente creata l'ideologia individualista per la quale il singolo "genio" è l'unico ad aver prodotto una determinata opera. L'incessante sviluppo delle forze produttive, però, ha lentamente corroso queste barriere. Dopo la stampa, ad esempio, le idee iniziarono a circolare già più velocemente. Cosa dice Marx di nuovo? Niente. Sottolinea come lo sviluppo del modo di produzione renda sempre più evidente il carattere sociale della conoscenza umana. La velocizzazione dei trasporti, delle comunicazioni – ciò che Marx chiama "l'annullamento dello spazio attraverso il tempo" – in una parola internet, ha reso innegabile questo fenomeno. Non c'è contenuto che sfugga alla rete. Tutto è (potenzialmente) condivisibile. Internet ha reso immanente, contingente, ciò che fino ad ora era rimasto potenziale. Il "virtuale" sta rendendo reali le potenzialità del cervello sociale. Solo la divisione in classi riesce ancora ad impedire che tutti possano accedere alla rete. In altri casi, invece, il mancato accesso alla rete rimanda a motivi ideologici, o psicologici. Probabilmente Mumford, nel 1934, non capiva che stava vivendo nel secolo in cui proprio l'ascolto ha incentivato giovani musicisti a intraprendere lo studio di uno strumento: i ragtime di Scott Joplin registrati sui Piano Rolls (i "midi" di fine '800) hanno spinto fino ad oggi migliaia di pianisti a confrontarsi con le sue "Maple Leaf Rag" e "The Entertainer"; la prima registrazione di musica classica, eseguita dal pianista francese Alfred Cortot per la Victor Records ha fatto da apripista alla lunga serie di superlativi pianisti del '900, le cui registrazioni sono ormai fruibili da chiunque possa accedere a youtube, registrazioni che guidano generazioni e generazioni di pianisti nella ricerca della propria interpretazione. Se Paul McCartney non avesse potuto imparare la chitarra ascoltando i vinili jazz e ragtime di suo padre, pianista negli stessi anni in cui Mumford svarionava, se John Lennon non avesse potuto imparare a memoria gli accordi delle canzoni napoletane (delle quali era un grande conoscitore) ascoltandole per ore e ore non avremmo avuto "Sgt. Pepper", "White Album", "Abbey Road" e gli altri capolavori immortali dei Beatles. Un'altra ideologia diffusa proviene da chi critica la rete perché "dà tutto a tutti" e quindi "chissà dove si va a finire!". Il lato ideologico, borghese, e individualista di queste critiche sta già nella premessa: non si tratta, infatti, di "dare", come se si dovesse "avere" certi servizi per "diritto", si tratta di riappropriarsi di ciò che è socialmente nostro come specie, ciò che tutti noi abbiamo contribuito a creare, a realizzare, a produrre. Queste sono solo alcune delle forme di cretinismo antitecnologico a causa delle quali c'è ancora chi impedisce a sé stesso di partecipare e collaborare allo scambio di contenuti: ci dispiace per loro, vorrà dire che dovremo imparare - purtroppo - a farne a meno, forse non perdiamo granché, al limite sarà una risata - in full hd - che li seppellirà. Certo, nel mentre che guardiamo, al solito fiduciosi, alle potenzialità della nostra specie, non possiamo non cogliere i lati ancora negativi dello sviluppo della rete. Essa, nonostante sia una delle spinte più rivoluzionarie, a memoria di capitale, degli ultimi decenni, è ancora un prodotto di questa società: rispecchia i lati sempre più marci di questa - si spera l'ultima – divisione in classi, porta a galla gli aspetti più perversi e macabri del #disagio dei nostri tempi, veicola gli ultimi scampoli di profitto sfuggiti alla caduta tendenziale, incurante dei tendini delle mani degli utilizzatori più giovani, incurante delle retine dei nostri occhi. Sta a noi, sta al cervello sociale, utilizzare questo potente strumento per quello che esso veramente rappresenta: la possibilità di coordinare simultaneamente grandi e piccole lotte locali per rilanciarle in tempo reale su scala internazionale, la possibilità di diffondere tutti quei contenuti fino ad ora inaccessibili, la possibilità di aggirare facilmente copyright, censure, e barriere di ogni tipo. |
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ARCHIVIO BUNKER
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Fonte: www.inventati.org/cortocircuito (arresto del sistema) 22.10.1014_
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